Robert Redford: il mito americano tra ribellione e classicismo

17.09.2025

Parlare di Robert Redford significa ripercorrere non soltanto la carriera di un grande attore e regista, ma anche la parabola stessa di Hollywood dagli anni Sessanta a oggi. Redford incarna la tensione costante tra il sistema delle major e l'urgenza di un cinema indipendente, tra il divismo classico e la ricerca di autenticità, tra il mito e l'uomo.

Il Redford degli anni Sessanta e Settanta fu il volto di un'America sospesa tra sogno e disillusione. In "Butch Cassidy and the Sundance Kid" (1969) e in "La stangata" (1973), entrambi con Paul Newman, mise in scena la leggerezza del fuorilegge romantico, con un fascino scanzonato che lo rese il nuovo golden boy del cinema statunitense. Ma dietro quel sorriso, Redford portava già un'ombra, una consapevolezza più complessa, che trovò espressione nei thriller politici come "I tre giorni del Condor" (1975) e soprattutto in "Tutti gli uomini del presidente" (1976), dove impersonò il giornalista Bob Woodward.

Quella stagione fu emblematica: Redford divenne il volto di un'America inquieta, costretta a fare i conti con Watergate, Vietnam e la crisi di fiducia nelle istituzioni. Non era solo un attore bello e carismatico: era un interprete che incarnava i conflitti di una generazione.

L'esordio alla regia con "Gente comune" (1980) segnò un punto di svolta. Il film vinse quattro Oscar, incluso quello alla regia, e mostrò la capacità di Redford di scavare nei silenzi familiari e nei dolori privati con un rigore quasi bergmaniano. La sua regia, mai appariscente, è sempre stata fedele a un'idea di cinema morale, che indaga la responsabilità individuale e collettiva.

Con "Quiz Show" (1994), forse il suo capolavoro dietro la macchina da presa, mise a nudo i meccanismi della manipolazione mediatica e la fragilità del sogno americano, rivelando la natura corruttibile di un Paese che si specchia nello spettacolo per legittimarsi. Redford non ha mai ceduto alle sirene del cinema spettacolare, preferendo storie di uomini comuni di fronte a dilemmi etici.

Il contributo più radicale di Redford, tuttavia, non è davanti o dietro la macchina da presa, ma nell'aver dato vita a un'alternativa al sistema. Nel 1981 fondò il Sundance Institute, che divenne in breve tempo il cuore pulsante del cinema indipendente americano. Da lì sono emersi autori come Quentin Tarantino, Steven Soderbergh, Jim Jarmusch, Kelly Reichardt.

Se Hollywood rappresentava l'industria, Sundance fu la fucina della ribellione creativa: un luogo in cui Redford mise la sua credibilità e le sue risorse al servizio di chi non aveva voce. Un gesto profondamente politico, che ha ridefinito la mappa del cinema contemporaneo.

Con il passare degli anni, Redford ha continuato a recitare, spesso scegliendo ruoli che rispecchiavano la sua età e la sua malinconia. In "All Is Lost" (2013), dove recita da solo in mezzo all'oceano, offre una delle performance più intense della sua carriera: il corpo in lotta contro la natura diventa metafora dell'uomo davanti alla propria fine. È il suo film-testamento, una riflessione sulla solitudine e sulla resilienza.

Quando nel 2018 annunciò il ritiro dalla recitazione, lo fece con la stessa discrezione con cui aveva condotto la sua carriera: senza clamore, consapevole di lasciare un'eredità che non si misura solo nei premi, ma nel modo in cui ha saputo trasformare il cinema americano.

Robert Redford rimane una figura unica: un attore divo senza mai essere frivolo, un regista rigoroso senza mai essere pedante, un imprenditore culturale che ha scelto la strada più difficile, quella di promuovere le voci nuove anziché sfruttare la sua fama.

La sua grandezza non risiede soltanto nei personaggi che ha interpretato o nei film che ha diretto, ma nella coerenza di un percorso che ha sempre messo l'arte e la coscienza davanti alla vanità. Un uomo che ha saputo incarnare il mito del cinema americano, pur smontandone le illusioni dall'interno.

In un'epoca dominata dai franchise e dai blockbuster, il nome di Redford resta sinonimo di un cinema che osa interrogare lo spettatore, chiedendogli di pensare, sentire, scegliere. Ed è forse questa la sua più grande eredità: ricordarci che il cinema non è solo intrattenimento, ma una forma di responsabilità verso la società.

Charles Robert Redford Jr. nacque il 18 agosto 1936 a Santa Monica, California. Morì il 16 settembre 2025, a 89 anni, nella sua casa a Sundance, Utah.

Walter Correnti 

FOTO PRESE DAL WEB